Recensione "Raccontami di un giorno perfetto" di Jennifer Niven

"Raccontami di un giorno perfetto" 
di Jennifer Niven

La Trama
È una gelida mattina d’inverno quella in cui Theodore Finch decide di salire sul tetto della scuola solo per capire che cosa si prova a guardare di sotto. L’ultima cosa che si aspetta però è di trovare qualcun altro lassù, in bilico sul cornicione. Men che meno Violet Markey, una delle ragazze più popolari del liceo. Eppure Finch e Violet si somigliano più di quanto possano immaginare. Sono due animi fragili: lui lotta da anni con la depressione, lei ha visto morire la sorella in un terribile incidente d’auto. È in quel preciso istante che i due ragazzi iniziano a provare la vertigine che li legherà nei mesi successivi. Una vertigine che per lei potrebbe essere un nuovo inizio, e per lui l’inizio della fine… Un romanzo straordinariamente toccante. Una storia che spezza il cuore in tutti i modi possibili.


La mia opinione

Questa è la storia di anime ferite che sprofondano nel baratro pensando di non avere un motivo per andare avanti, perché la vita fa schifo e non esiste via d’uscita. 
La depressione è così, un buco nero che inghiotte tutto e da solo non riesci più a venirne fuori. Hai bisogno di un aiuto, quella mano salda che sbuca all’improvviso, ti afferra con sicurezza e ti trascina verso la luce, ma non è facile ammettere di averne bisogno.  E soprattutto farlo prima che sia troppo tardi. 
Violet Markey è una “sopravvissuta”:  all’incidente d’auto in cui è morta sua sorella, a quel colpo durissimo che ha spezzato in due la sua anima e l’ha completamente spenta. Così vive senza una ragione, come un automa nella più totale apatia.
Theodore Finch è un ragazzo strano, bizzarro… secondo molti uno “schizzato”.
Finch è affetto da quello che gli psichiatri definiscono un  disturbo bipolare, una diagnosi che gli calza a pennello… ma si tratta pur sempre di un’etichetta, un adesivo attaccato in fronte che lo stigmatizza e lo rende ancora più escluso dal mondo intero.
Nella sua fase maniacale è anticonformista, pieno di energie, a volte anche aggressivo, in continua sfida con una società che lo deride e lo isola, fino a compiere gesti folli e spericolati.
Poi però subentra la fase depressiva, quello che lui stesso chiama “il Grande Sonno” , una sorta di nebbia che annienta i sensi e tutti i pensieri, come se il cervello andasse in blackout e staccasse la spina. 
Per quanto tempo, non si sa.
Finch affronta ogni giorno problemi seri come la morte e l’idea del suicidio, la violenza domestica o gli atti di bullismo e lo fa con un sarcasmo sottile e un’ironia talmente pungente che tu, lettore attonito e sconvolto, non sai se ridere o piangere.
Poi però Finch incontra Violet e finalmente scopre una ragione più che valida per andare avanti, rendendosi conto che forse (e sottolineo la parola “forse”) una via d’uscita dal baratro esiste anche per lui.
Lui la salva in ogni modo possibile, la libera dalle paure che la paralizzano, le restituisce la gioia di assaporare la vita e le insegna che col dolore si può convivere senza permettergli di spezzarti l’anima in due. Tra loro nasce così un’amicizia un po’ strana, che poi diventa intensa e profonda, fino ad evolvere in un rapporto che definirei semplicemente magico…  perché chiamarlo “amore folle e dolcissimo” sarebbe riduttivo.
Ma gli ingranaggi del cervello di Finch girano senza sosta e la direzione che prendono di volta in volta è straordinaria e allo stesso tempo inquietante. E questo è il prezzo che le menti geniali e iperattive troppo spesso devono pagare.
Questo romanzo dolce e toccante fa riflettere sulle tragedie della vita in un modo che ti ingarbuglia lo stomaco e ti stringe un nodo nel petto. E lo fa con una leggerezza e una semplicità che ti spiazzano.
Ma quello che personalmente mi spaventa di più è sapere che i meandri della mente umana sono infiniti e complicatissimi e noi possiamo controllarne solo una parte minuscola ed insignificante.
Tutto il resto è caos e anarchia.
Per questo, quando termini l’ultima pagina del romanzo, alla fine resti lì… da sola, in assoluto bisogno di silenzio, con il libro chiuso in mano e addosso uno straziante senso di sconfitta.



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